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Un medico italiano, tra gli Under 30 che cambieranno l’Europa

Intervista a Francesco Maria Galassi: medico paleopatologo

Francesco Maria Galassi ha 28 anni, viene da Santarcangelo di Romagna, è membro del board scientifico della neonata Scuola di Storia della Medicina dell’Ordine dei Medici di Rimini e ricercatore presso l’Università di Zurigo, ed è uno degli “Under 30” che cambieranno l’Europa secondo la rivista Forbes.

Francesco si occupa di paleopatologia, la disciplina che studia le malattie nel passato, combinando ragionamento clinico, filologia e storia della medicina.

La branca specifica sviluppata da Francesco, la paleopatografia, rappresenta un’evoluzione della paleopatologia classica che studiava mummie e resti e forniva indizi sugli effetti delle malattie sul corpo umano ma non dava informazioni sulla sintomatologia sperimentata dal paziente.
L’obiettivo è più ampio: tentare di ricostruire la presentazione clinica di come erano le malattie secoli o addirittura millenni fa, per questo è necessario avvalersi di fonti artistiche, storiche, documentarie e archiviste.
Per questo motivo la paleopatografia si serve solo di fonti originali e grazie a un processo quasi filologico, riesce a raggiungere una quantità di informazioni maggiore che possano definire la “storia” di una specifica patologia.

Gli abbiamo fatto qualche domanda per scoprire qualcosa di più sul suo lavoro.

“Se vogliamo migliorare le diagnosi, dobbiamo conoscere l’evoluzione delle patologie”
Qual è stato il tuo percorso di studi, perché hai deciso di specializzarti in paleopatologia?

Mi sono laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Bologna. Fin da quando ero studente mi occupavo di storia della medicina e dell’anatomia, avendo avuto la possibilità di collaborare con il Museo delle Cere Anatomiche “Luigi Cattaneo”, a quel tempo diretto dal Prof. Alessandro Ruggeri, anatomico e raffinato conoscitore della storia della medicina. Ho poi vissuto in Olanda e soprattutto nel Regno Unito, facendo qui ricerca sia in campo neuroscientifico che storico-medico, ad Oxford e all’Imperial College di Londra. Fu proprio qui che pubblicai il lavoro sulla malattia di Giulio Cesare. A quel punto decisi di occuparmi a tempo pieno di paleopatologia, la disciplina che mi permette di unire la mia formazione medica alla passione per la storia, in particolare quella per il mondo antico e le sue lingue, il greco ed il latino.

La mia giornata lavorativa “tipo” inizia alle 7 del mattino e finisce intorno alla mezzanotte e passo il 70% del tempo in istituto. Essendo un hobby poi diventato lavoro, non mi pesa affatto. Mi piace lavorare anche il weekend. Ormai seguo e collaboro a tantissimi progetti di ricerca in giro per il mondo, che necessitano di essere seguiti costantemente. Viaggio, però, spesso, vuoi per convegni vuoi per ricerca sul campo. Faccio ricerca sia su fonti storiche antiche, che su materiali biologici antichi (resti osteologici, mummie), applicando varie tecnologie ed approcci.

Il tempo libero lo dedico alla divulgazione scientifica, in particolare scrivo libri, tra cui quello di recente uscita Julius Caesar’s Disease: a New Diagnosis (Pen and Sword Books, 2016).  Pubblico per lo più nel mondo anglosassone, essendo il mio editore britannico, ma ho in animo di scrivere presto qualcosa anche in italiano.

Sanità 2.0, E-health, tecnologia. Come si coniuga la paleopatografia con questo orizzonte “digitale”?

La paleopatografia e la paleopatologia non ambiscono a sostituirsi ad una Tecnica in rapido sviluppo. Entrambe sono liete di poter aumentare il loro raggio d’azione e la loro precisione diagnostica servendosi delle nuove tecnologie. Il ruolo fondamentale della paleopatologia (che comprende anche la paleopatografia) è quello di dimostrare l’antichità e la presentazione storica, tanto fenotipica quanto genotipica, delle patologie, con il fine di comprendere l’origine ed il corso evolutivo delle malattie. In buona sostanza, cosa ne ha determinato la forma e l’impatto attuale sulla salute. Un paragone che faccio spesso è quello con il viaggio. Al giorno d’oggi è semplice recarsi da un punto all’altro del globo: il meccanismo è intuitivo, la sequenza di eventi è standardizzata, l’esito sostanzialmente scontato, lo spostamento confortevole. Questo però non era scontato nel passato ed il risultato di un profondo studio ed una comprensione totale dei fenomeni metereologici e della geografia. Lo stesso deve essere per le patologie: occorre comprenderne i meccanismi, l’origine, l’antichità, i pattern storici, l’interazione con le popolazioni, e anche la possibile evoluzione futura.

Dando un’occhiata alla medicina del passato, come è cambiato il ruolo del medico e come si è evoluta nel tempo la professione?

Il ruolo del medico è cambiato drasticamente nel corso della storia. Nell’antichità chiunque poteva essere medico, questo spiega perché vi fossero tanto grandi maestri quanto eccezionali ciarlatani. Il progresso continuo della conoscenza e la fondazione del metodo scientifico hanno portato ad una rivoluzione nella medicina e della figura del medico. Nel secolo scorso la figura del medico ha forse vissuto la fase di maggiore prestigio, a tratti – va però precisato – caratterizzata da un eccessivo paternalismo. Oggi si preferisce parlare di una alleanza terapeutica fra medico e paziente. Rimarco sempre, tuttavia, come questa alleanza non debba ridurre la figura del medico a semplice “tecnico”: la cultura, il discernimento e l’azione diagnostica e terapeutica del medico devono rimanere fondamentali.

La rivista Forbes ti ha nominato uno degli “Under 30” che cambieranno l’Europa nell’ambito della scienza e dell’healthcare. Come hai vissuto questa “investitura”?

La notizia ha chiaramente fatto molto piacere. In un mondo scientifico – giustamente, per carità – dominato dalla dimensione molecolare degli studi, avere la paleopatologia-storia della medicina nella lista è stato veramente straordinario. Credo che, al di là della soddisfazione personale, questo riconoscimento debba essere rivolto a tutti i colleghi del settore. Non a caso, in una intervista, ho dedicato il premio a tutta la categoria dei paleopatologi e degli storici della medicina. Vi è uno spazio enorme nel campo della paleomedicina che merita di essere occupato e sviluppato, non bisogna essere timorosi di fallire o di osare. Dobbiamo uscire dalla mentalità del piccolo orticello, de il faut cultiver notre jardin di volteriana memoria. La paleopatologia e la storia della medicina devono sedere alla tavola alta al banchetto delle scienze mediche.

Personalmente, vivo i riconoscimenti come un incentivo ad andare avanti e cercare di migliorarmi. Mi rendo conto che la mia presenza molto frequente ormai sui media renda quanto sto per dire non troppo credibile, ma la verità è che alla fine sono una persona molto privata. Se le cose che faccio possono ispirare o stimolare giovani colleghi a far progredire questa disciplina a me tanto cara, credo quello sia il vero riconoscimento.

Insieme a te, nelle altre categorie prese in esame della rivista ci sono molti altri italiani, ma la maggior parte di voi vive all’estero: è la solita storia dei “cervelli in fuga”? In Italia non c’è davvero spazio per queste menti geniali?

Concetti quali la fuga o l’esilio credo vadano utilizzati solo in letteratura, specialmente quando si parla di Romanticismo. L’eroe romantico per antonomasia aveva per motto exilium vita est. Oggi viviamo in un mondo globalizzato in cui la scienza è internazionale, pertanto non conosce confini nazionali. Chi sceglie di fare una carriera accademica deve sapere che una opportunità di lavoro può non necessariamente coincidere con il paese in cui nasce o in cui preferirebbe vivere. Logicamente, però, se l’equilibrio tra chi lascia una nazione e chi vi si stabilisce è saldamente verso i primi, con numeri da “esodo”, è naturale che insorgano problematiche. In ogni modo, queste sono questioni politiche ed amministrative che eccedono le mie competenze ed il mio interesse specifico. Quello che posso dire, in termini più generali, è che se lo spazio difetta, allora bisogna farselo. Quella è a mio avviso la forma mentis preferibile. 

Ma da piccolo, qual era il tuo sogno nel cassetto? cosa volevi fare da grande?

Da piccolo ero affascinato dal mondo antico, con i suoi eroi omerici e dall’archeologia. I racconti e le letture sugli scavi di Schliemann occupavano la mia fantasia. Ricordo, intorno ai 10 anni, un viaggio con i miei genitori per tutta la Grecia: contemplando le rovine dell’acropoli e la Tomba di Atreo a Micene, capii che in qualche misura il mondo antico sarebbe stato nel mio futuro. Poi però la scienza e la medicina divennero il mio principale interesse. Il resto è storia recente, da voi raccontata in maniera molto accattivante. Il bello della storia è che, alle volte, prende corsi inaspettati, ed eccoci qua, medicus antiquorum!

Grazie Dr. Galassi e come si dice in questi casi Ad Maiora!

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