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Il Medico di Emergenza

Agnese Cervellati: giovane medico del 118

Agnese Cervellati giovane medico del 118

Agnese Cervellati, classe 1987 è un giovane medico del 118 di Forli che nonostante le difficoltà della professione ama il suo lavoro e non lo cambierebbe per nulla al mondo perché la rende felice. Noi l’abbiamo incontrata per chiederle come si è avvicinata alla medicina di emergenza e quale è stato il suo percorso formativo.

Quando hai pensato per la prima volta di fare medicina?

La primissima volta che ho pensato di lavorare nel campo della medicina avevo 14 anni e stavo andando in comune quando ad un uomo venne un attacco cardiaco. Ricordo il senso di impotenza che provai nello stare a guardare, non sapevo cosa fare e non potevo essere d’aiuto. Per fortuna poi quell’uomo è stato prontamente soccorso da una guardia, ma io dopo quella esperienza decisi di iscrivermi al corso di primo soccorso BLS della croce rossa per sentirmi meno impreparata di fronte a questo tipo di incidenti.

Quale è stato il tuo percorso universitario?

Durante gli anni dell’università mi sono avvicinata al mondo della medicina d’urgenza facendo la volontaria in ambulanza. Con il passare del tempo, incoraggiata dai miei genitori e da mio padre medico, considerando le difficoltà della professione di medico d’urgenza, ho iniziato a frequentare il reparto di cardiologia pensando che fosse la mia vera passione. Una volta terminati gli studi però, per una serie di vicissitudini, ho realizzato che la scelta di intraprendere un percorso in cardiologia non mi avrebbe resa felice e così, grazie ad un collega che mi ha segnalato il test d’ingresso, ho avuto la possibilità di frequentare il corso MET (Medico di Emergenza Territoriale) e mi sono riavvicinata così a quel ramo della medicina che era stato il mio primo amore: il pronto soccorso e il 118.

In cosa consiste il corso MET?

Il corso MET è il corso abilitante alla professione di medico del 118. In Emilia-Romagna si svolge nell’arco di tre mesi ed è strutturato in due fasi: la prima teorica di 120h e la seconda pratica della durata di 7 settimane. Il tirocinio prevede un impegno di 36h a settimana ed è svolto nei reparti d’urgenza degli ospedali di riferimento. Al termine del corso è previsto un esame finale abilitante che permette di ricoprire incarichi convenzionali vacanti e incarichi a tempo determinato nelle Aziende Usl.

Cosa potresti consigliare ai giovani medici che devono scegliere la specialità?

Ai giovani medici consiglio di dare un valore alle proprie preferenze a prescindere dall’ambiente universitario. Soprattutto ora che il concorso è nazionale, bisogna ponderare bene le possibilità e capire quanto si è disposti a sacrificare della propria vita per poter fare ciò che più si desidera. Penso sia importante, a questo proposito, non focalizzarsi solo su una specialità e fare diverse esperienze o tirocini per valutare bene tutte le opportunità. Al tempo, ad esempio, ero così concentrata sulla cardiologia che ho evitato di fare il tirocinio in pronto soccorso perché pensavo di perdere tempo e, con il senno di poi, ho rimpianto molto questa scelta.

Quale è stata la tua prima esperienza su un auto medica?

La prima opportunità di lavorare per il 118 è arrivata all’improvviso, mentre stavo lavorando per un medico di base che mi ha insegnato molte cose e al quale sono molto riconoscente. Un collega mi ha chiamato e mi ha chiesto la disponibilità immediata a lavorare sull’auto medica. Cosi, anche se spiazzata, ho colto l’opportunità al volo e ho iniziato a lavorare con il 118 dell’area sud del comune di Bologna. All’inizio avevo paura, ma il lavoro in team e la fiducia nei miei colleghi mi hanno fatto acquistare sempre più sicurezza; anzi, con il tempo ho capito che avere paura è normale perché il timore, quello sano, aiuta ad essere prudenti e coscienziosi.

Cosa fa nello specifico un medico che lavora nel 118?

Nell’auto medica ci sono un medico e un infermiere. Il lavoro consiste nel fornire supporto alle ambulanze che operano nel territorio per i casi più gravi. Il nostro compito è stabilizzare, supportare le funzioni vitali del paziente e decidere le modalità di ospedalizzazione, il tutto in tempi molto rapidi. Il tipo di approccio è un po’ il contrario di quello del medico clinico perché, nel nostro caso, bisogna prima agire, ad esempio somministrando delle terapie a prescindere dalla patologia che ha causato quel determinato quadro clinico di emergenza, e solo dopo fare la diagnosi. Lavoriamo per praticità con due zaini, uno chiamato “respiro” che contiene i vari set per intubazione, cricotomie d’emergenza e drenaggi toracici e l’altro detto “circolo”, contenente il kit di farmaci salvavita di emergenza e tutto il necessario per reperire accessi venosi. Nell’auto abbiamo anche un monitor defibrillatore che ha funzione di elettrocardiogramma che può essere inviato in ospedale tramite un sistema di collegamento elettronico, direttamente al reparto di Cardiologia. Siamo provvisti anche di un sistema per il massaggio cardiaco esterno automatico, l’ autopulse e di tutto il necessario per operare in situazioni di emergenza assieme agli infermieri e all’autista soccorritore che aiuta e collabora con tutto il team.

Come considera il lavoro di un medico del 118?

La nostra è una professione faticosa che non dà molte gratificazioni “pubbliche”, perché agiamo un po’ nell’ombra. Non siamo medici che vengono “conosciuti”, noi salviamo la vita sul momento, in strada, ma il riconoscimento poi è del medico che opera, che fa la diagnosi, che segue il paziente. Questo nostro modo di agire in prima linea senza troppe pretese è una cosa di questo lavoro che mi affascina e che mi da soddisfazione. Recentemente mi è capitato di intervenire in un brutto incidente stradale a Forlì, mi ero trovata a passare di lì per caso e sul posto non era ancora arrivato nessuno, così non ho esitato e mi sono fermata. Quando l’ambulanza ci ha raggiunti, senza pensarci due volte, ho infilato un paio di guanti e ho agito perché sentivo di sapere esattamente cosa fare. Questo episodio è stato per me la conferma del fatto che avevo intrapreso la strada giusta e che ero in grado di fare il mio lavoro. Nessuno saprà mai che c’ero io quella sera, anche perché ero in borghese, ma per me è importante sapere di essere stata utile a qualcuno e questo pensiero mi dà ogni giorno la convinzione di fare quello che forse in fondo sono nata per fare.

 

 

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